la discesa nel cratere di Montenuovo

Tra il 29 e il 30 settembre1538 un violenta eruzione nella zona dei campi Flegrei portò alla formazione di un cono vulcanico:Montenuovo il più giovane vulcano d'Europa e la distruzione di un intero villaggio:Tripergole

 La zona più rinomata dei Campi Flegrei per la presenza di numerose sorgenti è quella del lago d'Averno e della collina di Trìtoli, nei cui pressi, sin dal secolo XIII, è documentato il noto villaggio di Tripergole. Già il toponimo, "tre pergole", tre stanze (frigidarium, tepidarium e calidarium) denota l'origine e l'economia termale dell'abitato. Con gli Angioini e gli Aragonesi, la località visse un'età splendida: la corte si trasferiva spesso, per riposo o per svago, nel castello con la famosissima "canetterìa" (allevamento di cani) e la regia cavallerizza, voluta nel 1464 dal re Ferdinando I d'Aragona.
Gradualmente, il territorio si sviluppò secondo la sua naturale vocazione termale: furono realizzate adeguate strutture sanitarie e ricettive, una farmacia ("Speziària") accorsatissima e tre osterie -forse il toponimo deriverebbe anche dalla loro presenza- che, certamente, svolgevano anche la funzione di locanda, destinate, ovviamente, ai frequentatori benestanti. Persino re Roberto d'Angiò, nel 1332, obbligò gli uomini dei casali di Posillipo, Fuorigrotta e Pozzuoli di ripavimentare la strada che da Piedigrotta conduceva a Tripergole, per favorire il turismo termale.
Carlo II d'Angiò, detto "lo zoppo", per venire incontro alle esigenze dei forestieri e degli infermi meno abbienti, che si recavano a Tripergole per le cure belneo-termali, decretò, con provvedimento del 5 settembre 1298, la fondazione di un ospedale, con la prevalente funzione di xenodochio (ospizio per stranieri). E' probabile che il re ampliò in forme più decorose una struttura più modesta, già esistente, forse, in età sveva. Infatti, la presenza dello xenodochio è già documentata nel 1277  . Per la costruzione del complesso di Tripergole, che poteva contenere fino a 120 posti letto, il re concesse 700 once d'oro. Lo xenodochio di Tripergole divenne tanto noto che in esso si celebrava, con grande partecipazione di popolo, la festa della Pentecoste e, in tale occasione, si svolgeva anche la tradizionale sagra delle ciliegie, con suoni, canti e danze.

 

Con la famosa eruzione che portò alla formazione del Monte Nuovo (29-30 settembre 1538), scomparve l'intero villaggio di Tripergole sotto una montagna di scorie vulcaniche, sconvolgendo la fisionomia e l'orografia dei luoghi. I segni premonitori dell'eruzione, già avvertiti alcuni decenni prima, con terremoti e sollevamento del suolo, divennero più intensi e frequenti e causarono lo spopolamento del villaggio di Tripergole; infatti, i cronisti non registrano vittime durante la catastrofe. La rapida e violenta eruzione portò anche alla scomparsa del mantello vegetale in una vasta zona compresa fra il lago di Lucrino e la parte occidentale dei Campi Flegrei, contribuendo al declino naturalistico dei Campi Flegrei che comunque aveva origini lontane.
Con la fine di tale evento vulcanico, iniziò la colonizzazione da parte degli organismi vegetali pionieri provenienti da aree circostanti. In oltre 450 anni, le diverse specie vegetali hanno preso possesso dell'area nuda, rivestendola di una vegetazione più o meno densa, senza che si sia raggiunto un equilibrio tipico di zone geologiche più antiche e "tranquille, l'origine vulcanica del suolo gli conferisce un chimismo prevalentemente acido, per cui le specie vegetali presenti in zona saranno, essenzialmente acidofile.
Osservando il paesaggio vegetale lungo le pendici del cratere, percorrendo anche le tappe della sua evoluzione attraverso le fonti bibliografiche, si notano le modificazioni che la vegetazione di Monte Nuovo ha subito nel corso del tempo; ad una formazione steppica, tipica di ambienti aridi, la Disa, caratterizzata da graminacee quali l'Hiparrenia  e la Tagliamani (ampelodesmos mauritanicus )visibile sul versante meridionale più caldo e assolato, segue la Gariga costituita da arbusti bassi, talora aromatici, come l'Elicriso e la Ginestra (calicotome villosa)collocata nelle zone più aride e degradate. Alla gariga subentra poi, prima una Macchia bassa distribuita sui versanti occidentale e meridionale con specie sempreverdi, a foglie dure e lucenti, fra cui il Mirto , il Lentisco  le Filliree (Phyllirea latifolia e Phyllirea angustifolia), il Cisto  l'Erica , mentre, sul versante settentrionale più umido e fresco, è presente una Macchia alta, costituita in prevalenza da Lecci e Corbezzoli . La parte interna del cratere esposta a nord, è infine occupata da una densa leccetacon esemplari di Leccio , Roverella , Frassino  con un fitto sottobosco di Edera (Hedera helix). Tale tipo di vegetazione cessa di colpo nel fondo del cratere, colonizzato da specie più igrofile, le Canne (Arundo donax) ed (Erianthus Ravennae), ed da un felceto di (Pteridium aquilinum). Sul dorso meridionale del vulcano troviamo delle fumarole dove la presenza di notevoli quantità di vapore acqueo e temperature intorno ai 70 gradi, permette lo sviluppo di specie macroterme come alcuni tipi di muschi e felci e di un Cipero, tipico di "zone umide".
L'uomo, da parte sua, ha tentato di riprendere in parte dalle falde del cono, quelle superficie seppellite dall’eruzione e con un lavoro assiduo ha prima piantato la selva di castagno sui pendii settentrionali e in seguito con opere di terrazzamento ancora visibili, vi ha coltivato la vigna. Tale lavoro di piantagioni è andata col tempo aumentando per cui l'originaria vegetazione a macchia è stata prima inquinata dalle piante "antropocore", per poi essere sostituita dalla pineta costituita in prevalenza da Pini domestici (Pinus pinea), piantata intorno al 1930 soprattutto sul versante meridionale. In questi ultimi decenni, gli incendi, alcune malattie parassitarie e l'inquinamento umano hanno compromesso lo stato della pineta che via via tende a diradarsi favorendo di nuovo lo sviluppo dell'originaria macchia mediterranea